HDTV, la televisione in Alta Definizione
L’esercizio operativo dell’Alta Definizione (o 2K) comincia in Italia nel 2006. La Rai trasmette le Olimpiadi invernali di Torino 2006 in HD in via sperimentale su frequenze terrestri a circuito chiuso, a Torino e provincia, destinate alla visione solo in sale attrezzate. Nello stesso anno Sky, la pay TV via satellite, diffonde ai suoi abbonati la finale di Uefa Champions League e tutte le partite del campionato del mondo di calcio Germania 2006 in Alta Definizione, lanciando poi i suoi primi 4 canali tematici con una programmazione integralmente in HD. È in questa fase che arrivano sul mercato gli schermi piatti LCD (a cristalli liquidi) e PDP (al plasma) dalla grande diagonale e dalla profondità molto ridotta. I primi televisori compatibili, con risoluzione “HD Ready” (1.280 × 720 pixel) e “FullHD” (1.920 × 1.080 pixel), sono disponibili a prezzi accessibili. Questa tecnologia penetra sul mercato anche grazie all’introduzione del digitale terrestre, con lo standard DVB – già da tempo utilizzato dalla tv satellitare – che da inizio al suo percorso di sostituzione della tv analogica. E il digitale, grazie alle tecniche di compressione del segnale, permette ai broadcaster di trasmettere l’Alta Definizione attraverso un uso ragionevole della banda.
Nel 2010 viene lanciato sul digitale terrestre il canale Rai HD che offre una selezione di programmi in Alta Definizione nativa selezionati dai vari canali Rai. Con lo switch off della tv analogica (2009-2012) e il più recente passaggio al digitale di seconda generazione (DVB-T/S2) ha inizio un graduale processo di migrazione dell’offerta televisiva, che porta ad ampliare progressivamente l’offerta di contenuti in HD, sia sul satellite – dove la maggior parte dei canali di Sky e tivùsat sono ormai in HD – che, più recentemente, sul digitale terrestre. E in Alta Definizione sono anche le offerte delle piattaforme OTT arrivate in Italia dal 2015 in poi.
Oggi l’HD è divenuta di fatto lo standard di riferimento per la produzione audiovisiva e per il broadcasting, su tutte le piattaforme disponibili.
Tuttavia, per molti anni l’Alta Definizione era stata un sogno di difficile – se non impossibile – realizzazione. Le tecnologie televisive, ai tempi dei loro esordi (dalle sperimentazioni nei tardi anni ’20 alla nascita dei primi canali) permettevano di raggiungere una risoluzione d’immagine limitata (405 linee interallacciate, delle quali solo 377 utilizzate per le immagini), su schermi di dimensioni inevitabilmente contenute. Un primo miglioramento si raggiunse con l’avvento del colore, a partire dai tardi anni ’60, e con l’adozione dei relativi standard (in Europa principalmente il Pal, in grado di offrire una risoluzione di 625 linee, 576 delle quali destinate all’immagine).
La ricerca per aumentare la qualità delle immagini ed offrire un’esperienza spettacolare, più vicina alla realtà, aveva dato i primi risultati concreti alla fine degli anni ’80, con le sperimentazioni dello standard HD-Mac: un sistema ancora basato sulle tecnologie analogiche, in grado comunque di raddoppiare la risoluzione televisiva, arrivando a 1.250 linee (di cui 1.152 visibili) in formato widescreen. In Italia era stata la Rai a cimentarsi in questa sperimentazione, arrivando a trasmettere attraverso il satellite Olympus alcune partite del Mondiale di calcio Italia ’90 in sale appositamente attrezzate nelle sue sedi.
Gli esperimenti della Rai, insieme alla prima produzione in HD (il tv movie Giulia e Giulia, diretto da Peter Del Monte nel 1987) servirono ad evidenziare requisiti, vantaggi e limiti della tecnologia dell’epoca, sul piano della produzione, trasmissione e fruizione: costi elevati per l’hardware, risorse ingenti di banda per la diffusione, scarsa disponibilità di televisori compatibili. Per apprezzare l’Alta Definizione sarebbero stati, inoltre, più adatti schermi caratterizzati da un rapporto base/altezza “widescreen” (per intenderci, il formato 16:9), più rispondenti all’esigenza di un’esperienza utente appagante, con una diagonale maggiore di quelle disponibili all’epoca: con la tecnologia a tubo catodico, superare il limite dei 32 pollici significava costruire apparecchi troppo ingombranti per un normale salotto di casa.